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daniel rothbart

seeing naples: reports from the shadow of vesuvius

edgewise press, new york, 2018, pp.152

isbn 9781893207417


di riccardo notte


era giovanissimo, pieno di curiosità. laureatosi in scultura e con un premio fulbright  in tasca (la prestigiosa borsa di studio statunitense), decise di perfezionare la sua formazione artistica in italia, per approfondire la conoscenza del barocco. e per sede scelse napoli.

oggi può sembrare una decisione quasi ovvia. napoli è città barocca non solo per le sue straripanti testimonianze architettoniche e artistiche, ma lo è in sé e per sé.  inoltre, da vari anni è tornata ad essere una meta turistica sempre più apprezzata. questa “rinascita” è anche frutto di un’immagine “globale” rinnovata. ma quando daniel rothbart sbarcò a napoli - siamo nel 1990 – l’ex capitale del regno aveva toccato il fondo di una quasi irreversibile crisi più che secolare. senza dire dei lontani trascorsi, basti ricordare il colera, poi il devastante terremoto del novembre 1980, l'aggressione della nuova camorra organizzata (centinaia di omicidi all'anno), la deindustrializzazione selvaggia, la disoccupazione dilagante, il caos, la sporcizia, la corruzione. si aveva quasi l’impressione che un dio malevolo avesse deciso di gettare sul popolo napoletano una sequela infinita di piaghe d’egitto.

al contrario, chi al giorno d'oggi visita napoli trova una città non  priva di contraddizioni, certamente. ma nell'insieme torna al suo paese conservando il ricordo di una realtà urbana vivace, positiva, attiva. ed è davvero difficile testimoniare ai giovani che rothbart giunse in una napoli che pareva poco meno di un deserto.

al centro storico, le stesse strade che ora appaiono un rutilante caleidoscopio di vetrine, di ritrovi, di "baretti", di bancarelle multicolori, di voci, profumi e lingue - inestricabile intreccio di  energetica cacofonia che occupa democraticamente tanto lo spazio del giorno quanto il tempo della notte - quelle stesse strade nei primi anni ’90 dopo l'imbrunire si mostravano solitarie, spoglie, mal illuminate, pericolose. si avvertiva quasi un tacito ordine di coprifuoco, come nel periodo bellico. chiudevano uno dopo l’altro le sale cinematografiche, i teatri, i circoli. i caffè storici e le rinomate pasticcerie stentavano. gli alberghi, anche i più lussuosi, languivano.

ebbene, daniel rothbart giunse in questa ormai quasi dimenticata napoli. ma invece di scappare a gambe levate, come avrebbe fatto qualsiasi persona di "buon senso", se ne innamorò. e già questo dato descrive la singolare tempra del personaggio, dell'artista, dello scrittore daniel rothbart. se ne innamorò e vi restò per quasi cinque anni, quindi ben oltre i limiti temporali del fulbright.

in breve, rothbart "scelse" napoli. quegli anni partenopei furono un lungo e appassionato viaggio esplorativo, alimentato dalla sensibilità segreta e quasi candida di un artista che è anche un fine intellettuale, scrittore e saggista. da questa esperienza nacque il progetto di un libro. ci sono voluti venticinque anni per concretizzarlo. questa lunghissima sedimentazione, elaborazione e rielaborazione ha per tanti versi un sapore proustiano; e non solo per il lavoro sulla memoria e sulla rimemorazione, ma anche perché si tratta di un’esperienza umana, relazionale, anche mondana, per certi versi; un’esperienza che si è poi tramutata in opera d’arte nella forma di un libro: seeing naples: reports from the shadow of vesuvius

ecco. se proprio si vuole definire il libro di rothbart, esso deve essere considerato in sé un’opera d’arte. il volume è stato da poco presentato al museo di capodimonte, nella sala burri; relatori, tra gli altri, il direttore del museo di capodimonte sylvain bellenger, il console generale degli stati uniti mary ellen countryman, gli storici francesco lucrezi e lucia valenzi, il presidente del premio napoli domenico ciruzzi e l’assessore alla cultura del comune di napoli nino daniele).

ho definito seeing naples un’opera d’arte e non a caso. è infatti un libro anomalo già per la sua veste. di grande formato, rilegato, curatissimo nella grafica e nell'impaginazione, ricco di immagini le più varie, ma in bianco e nero (tocco di raffinatezza), il volume ovviamente parla di napoli e di alcuni insoliti napoletani.

presentando il libro, sylvain bellenger ha notato che forse non esiste città al mondo che produca tanti testi su se stessa come napoli. perciò, quando si vide recapitare il volume pensò: "oddio! ecco l'ennesimo...". salvo, poi, ricredersi non appena iniziò a sfogliarlo. ed è appunto la sorpresa che riserva la bellezza, l’eleganza in sé. perché non è detto che la bellezza debba per forza esibire un significato, una ragione logica per sostenersi. ma, naturalmente, si è detto che seeing naples è anche ricco di significazioni; soprattutto è ricco di rivelazioni, di luoghi inconsueti, spesso sconosciuti anche agli stessi napoletani. viaggi in anfratti nascosti della storia si affiancano a ritratti di personaggi niente affatto famosi, ma nondimeno straordinari per intensità e calore umano. cito per tutti la singolare, solitaria figura di guglielmo reiter.

a proposito di viaggi nella città. rothbart descrive il suo impatto con un sistema di trasporti urbano a dir poco esasperante (all’epoca, tra l’altro, la linea uno della metropolitana era solo un progetto e qualche buco qui e là). decise quindi di fornirsi di un mezzo autonomo. così, acquistò di seconda mano un motorino (mezzo ideale a napoli) e lo battezzò “ronzinante”. tutti gli amici lo ricordano a cavallo del suo sgangherato “destriero” e, ovviamente, il nome del mezzo sembra quasi banalmente rimandare al brocco di don chisciotte. però, non dimentichiamo che rothbart è un fine intellettuale americano mosso dal desiderio di esplorare, di scoprire, di attraversare lo spazio e il tempo. così, credo di non sbagliare dichiarando che daniel  in realtà battezzò il motorino piaggio col nome di “ronzinante” soprattutto in onore di john steinbeck, perché – si ricorderà – così il celebre scrittore statunitense chiamò il suo proto-camper, con il quale intraprese (insieme al cagnolino charley) un interminabile solitario viaggio attraverso l’america, descritto poi nel best seller travels with charley in search of america: anche questo un viaggio attraverso luoghi sconosciuti, sovente sorprendenti, ma soprattutto un itinerario di incontro con la verità delle persone.

in seeing naples l'arte è però una direttrice importante, che muove dall'architettura e dalla storia, partendo dai reperti archeologici greco-romani fino al barocco e oltre; ma non per questo l'opera si può definire di storia dell'arte. ciò che colpisce di più è al contrario la descrizione dei tipi umani incontrati da rothbart in quegli anni. qui, ancora una volta, si percepisce l'origine statunitense dello scrittore, per così dire il suo sostanziale e niente affatto formale egualitarismo democratico. troviamo  ad esempio la descrizione di un incontro col sindaco e pittore maurizio valenzi, conosciuto e intervistato nella sua bella casa in via manzoni. siamo quindi ai vertici della politica e della cultura di quegli anni a napoli. ma troviamo anche, lumeggiato a larghe e rapide pennellate impressioniste, il personaggio egidio balestrieri, esemplare di un tipo partenopeo poco noto quanto diffuso: il maestro artigiano, capace di produrre autentiche magie con l'abilità delle proprie mani da artiere. è infatti una attitudine tutta partenopea, per così dire una nota caratteristica. questa capacità quasi innata, che si affianca ad altre qualità dello spirito del popolo (per esempio la spontanea teatralità) colpì perfino il filosofo alfred sohn-rethel, al punto che vi dedicò un libro. ebbene, grazie alla penna di rothbart l'umile saldatore egidio, creatore di mirabolanti virtuosismi con la sua fiamma all'acetilene, non ha meno dignità di un illustre sindaco e intellettuale. entrambi, insomma, artisti: pari in dignità e grado. l'uno tanto indispensabile quanto l'altro per disegnare i confini  della nostra strana città, in cui - e questa è la lettura di rothbart - tutto appare (e talvolta è) davvero possibile, realizzabile, legittimo perché umanamente essenziale.

si direbbe che l'autore, oltre ad essere  artista e scrittore, sia segretamente anche un po' antropologo. anzi, un bel po'. perché capita raramente di incrociare un libro che onori così bene l'imperativo  della cosiddetta "osservazione partecipante", che, come si sa, dovrebbe essere la guida maestra di ogni antropologo che si rispetti.

numero 0,6
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