aldo palazzeschi
bestie del 900
vallecchi, firenze, 1951, pp.172 con tavole di Mino Maccari
di laura diafani
aldo palazzeschi
bestie del 900
vallecchi, firenze, 1951, pp.172 con tavole di Mino Maccari
di laura diafani
libro d’autore? il volume di grosso formato, con 30 tavole a colori fuori testo e 16 incisioni in bianco e nero nel testo, è concepito dall’editore come raccolta di racconti d’autore che, se illustrata da un artista contemporaneo, può diventare un’appetibile strenna natalizia nel dicembre 1951: enrico vallecchi preme per mandar fuori questo libro palazzeschiano pragmaticamente per evitare una troppo lunga sosta a stampa tra un romanzo e l’altro. si vagliano diverse ipotesi – gianni vagnetti, toti scialoja, franco gentilini –; il nome di mino maccari ha infine il beneplacito dello scrittore, che per l’amico pittore usa un aggettivo che sembra autobiografico e suona come un’autocitazione, il sinonimo di un suo titolo giovanile rimastogli poi addosso come il più consono, l’incendiario: «mino è caustico, e il mio libro gli si dovrebbe confare»; c’è l’auspicio di una doppia combustione narrativa e pittorica, insomma. dunque, allora, operazione editoriale commerciale panottica? l’autore prospetta in questa silloge piuttosto un «libro autobiografico» per interposta persona, anzi per interposto animale, nel senso che il significato intimo è agito non nella pelle di personaggi umani ma nelle pellicce e nei piumaggi dei felini e dei volatili che nei racconti agiscono, parlano e si confessano. dunque, allora, libro autobiografico? palazzeschi trova però che il treno della sua scrittura abbia deragliato dal binario autobiografico su cui lo aveva avviato e che autobiografismo ci sia, sì, nei primi racconti – sotto le piume della gallina pompona, cui viene evirato l’amante gallo, ma che impara rapidamente a riderci su; o nei veli fantastici di un leone che si guadagna da vivere come felino ruggente e temibile al circo e fuori di scena è un parlante mite e vegetariano –, ma che poi non lo si rinvenga più nei racconti umoristici di animali che gli sono venuti dopo alla penna. dunque favole novecentesche o bestiario del xx secolo? gli animali parlanti hanno psicologie articolate e complesse e interagiscono alla pari con altri personaggi animali e umani, distinti solo dall’essere al di fuori di uno schema prevedibile di comportamento e di riconoscimento, da una istintualità vitale non ammorbata o anestizzata. non solo non sono tipizzazioni di vizi o di virtù e dunque strumenti per l’affermazione di una morale, ma, al rovescio, è proprio la loro animalità a renderli refrattari a questo uso, come a ogni altro che non sia negare l’esistenza di una normalità, che non sia sdefinire la normalità.