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marialba russo

travestimento

postcart, roma 2016, pp.84

isbn 9788898391493


di michela becchis

lunga è la storia professionale di marialba russo, un pezzo rilevante della fotografia italiana e anche dell’antropologia culturale narrata per immagini, quest’ultima vero e proprio segmento nobile della ricerca sul campo fin dagli anni ’50 del novecento quando i giovani pinna, zavattini, gilardi accompagnavano de martino durante i suoi viaggi nel sud italia. marialba russo è anche una delle esponenti più importanti di quel gruppo di fotografe italiane che negli anni ’50, ’60, ’70 del secolo scorso seppe fondere antropologia, ricerca sociale, valore politico e militanza di genere dentro la ricerca fotografica. la collana da lei inventata de “i quaderni dello sguardo”, quaderni appunto che rifiutavano anche la rigidità di una copertina che sarebbe stata quasi indice di uno sguardo estraneo, quaderni da sfogliare come un taccuino di appunti di un viaggiatore acuto e partecipe, hanno raccontato tagli, frammenti e inquadrature del sud italia da un punto di vista che era non partecipe, ma direttamente posizionato dentro la storia di un pezzo del paese. quel pezzo che era il suo.

lunga è la storia professionale di marialba russo e non può né deve stare tutta dentro una recensione. e allora qui si parlerà di travestimento, uno dei suoi più importanti lavori di recente pubblicato e che stupisce per come, pur mostrando un mondo che sembra lontanissimo nel tempo, mantiene intatte le sue caratteristiche di dialogo con l’osservatore, di capacità di rendere ancora visivamente necessario il confronto con pezzi e pagine di cultura letteraria e antropologica che sembrano riprendere ancora più vigore dentro gli sguardi sfrontati che si appuntano oggi su di noi dal libro. tra il 1975 e il 1980, russo realizza una serie di ritratti nell’ambito della cultura del travestimento in campania, in particolare durante il carnevale, in cui l’antropologia culturale si fa progettualità artistica.

se è vero che la modernità ha trascinato con sé «[…]un processo di riduzione, di imbastardimento e impoverimento progressivi delle forme dei riti e degli spettacoli carnevaleschi nella cultura popolare[…]. la singolare percezione carnevalesca del mondo con la sua libertà, il suo carattere utopico e la sua tensione verso il futuro, cominciano a trasformarsi in semplice stato d’animo festoso» (m. bachtin, l'opera di rabelais e la cultura popolare. riso, carnevale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale, ed.it. torino, 2001), in questi più o meno giovanotti truccati e “travestiti” da donna, marialba russo rende per figura l’idea di “carnevalesco”, di maschera con cui michail bachtin illuminò secoli di storia e di società vagliati non più solo dalla prospettiva d’élite. questi splendidi ritratti dimostrano che almeno fino agli anni in cui questo lavoro fu fatto, l’estetica del sovvertimento di habitus – religioso, di genere, di classe -, seppur ormai in forme fragili e labili e ibride si manteneva in luoghi in cui la cultura popolare era tanto antica, remota, quanto ancora sentita e agita come propria. durante la rivoluzione francese il carnevale e i travestimenti durante i suoi giorni vennero proibiti, anzi quelli che mutavano il genere venivano puniti con la morte perché quella era “una festa buona per i popoli schiavi”, ribellione simbolica che aveva la funzione di sostituire o evitare le sommosse popolari reali. tuttavia, in quegli anni ’70 del novecento, stante che anche l’obiettivo di marialba russo non intende velare la consapevolezza di non essere certo davanti a uomini definitivamente liberi, ma forse meno schiavi e più utopisti che in questi nostri giorni, quegli sguardi seducenti e sfrontati che ci fissano dalle pagine del libro fanno venire in mente una frase di goethe per cui: “il carnevale non è, in verità, una festa che viene concessa al popolo, ma una festa che il popolo si concede”. il  bianco e nero usato per questo racconto, le angolazioni di luce, i chiaroscuri, le scelte di quali volti ritrarre nelle fotografie di marialba russo risalgono il tempo e dialogano direttamente con una antica e straordinaria narrazione che è quella di goya. la tematica del  "mondo alla rovescia"  è quella dei capricci, di quelle incisioni in cui l’artista spagnolo, con una serie di immagini grottesche e dissacranti, smascherava vizi, ipocrisie e perbenismi della sua epoca. nelle incisioni le gerarchie tra servi e padroni, tra uomini e animali, maschi e femmine sono invertite; donne barbute e uomini incinti incrinano definitivamente il rispetto della certezza dell’appartenenza. nei trucchi pesanti da cui spunta testarda la barba, nelle ciglia finte che quasi inciampano nelle troppo folte sopracciglia, nelle parrucche eccessive e un po’ sghembe sopra vistose basette, nei seni fatti con l’ovatta, negli abiti femminili aderenti e strizzati su spalle muscolose c’è tutto il dialogo con le figure stravolte di goya, quella indecenza intesa come la mancanza di convenienza, la scarsa volontà di essere adatto al ruolo prefissato dalla morale del potere.

i ritratti bellissimi di travestimento ci strattonano in un tempo prossimo eppure lontanissimo in cui la carnevalizzazione del quotidiano non si era ancora verificata e il gioco sempre duro e violento del potere non riusciva però a trasformare immediatamente ogni azione, ogni esistenza, ogni giorno vissuto, ogni fatica in una banalizzazione conformistica, in un’estetica del vuoto, nello spettro di un vero carnevale.

















le foto di marialba russo ©  sono tratte dal libro “travestimento”

numero 0,5
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