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luciana berti

la galleria inesistente

franco angeli, milano, 2015, pp.156

isbn 9788891727701


di annapaola di maio

la galleria inesistente. pratiche artistiche di un gruppo anonimo tra gli anni ’60 e ’70 è la prima monografia della storica dell’arte luciana berti incentrata sulle vicende ancora poco note – ma estremamente preziose – di un movimento artistico napoletano volutamente indefinito e non afferrabile.

il testo prende vita a partire da un ciclo di incontri tenuti al museo del novecento a napoli -castel sant’elmo durante il 2014, i giovedì contemporanei, dedicati alla ricostruzione di alcune operazioni della galleria inesistente. dalle testimonianze dei vari protagonisti è scaturito lo studio di ricognizione di berti, intercettato ed accolto dal forum universale delle culture di napoli all’interno del progetto the roots and the future.

proprio per la difficoltà a rintracciare le fila di un racconto di per sé intricato e di cui poco è “esistente”, nel tempo non è mai stato affrontato uno studio sistematico sul collettivo. l’argomento è stato sfiorato più volte nel corso degli anni, in articoli e saggi di critici come filiberto menna, angelo trimarco, tommaso trini e nel più recente tentativo di ricostruzione di stefano taccone. finora, oltre ad una serie di riferimenti più o meno puntuali e testimonianze sparse, non era mai stata dedicata una monografia all’attività del gruppo e in questo quadro la ricerca portata avanti da luciana berti tenta di colmare una lacuna importante nella narrazione degli eventi artistici della napoli tra gli anni ’60 e ’70.


il sottotitolo del volume pone già un’inquadratura interessante del fenomeno della galleria inesistente: innanzitutto introduce l’idea di “pratica artistica” non classificando il collettivo in una cornice di staticità espressiva, ma in un campo d’azione esperenziale. in seconda istanza entra in scena l’accezione di “gruppo anonimo” ed è una definizione che, dopotutto, riflette uno dei pochi e reali elementi sicuri, difatti la «condizione necessaria per aderire al gruppo era mantenere l’anonimato e firmare collettivamente le opere» [p.13]. in ultima analisi vi è l’inquadramento storico, ovvero a cavallo degli anni sessanta e settanta del novecento, periodo ricco di fermenti artistici orientati verso una dimensione di contaminazione tra arte e vita.

la presentazione degli avvenimenti è strutturata secondo un sistema a “scatole cinesi”, i primi brevi capitoli – “negazione doppia”, “arte fuori” – rappresentano infatti un preambolo al contesto estetico nel quale si muove il gruppo napoletano. il compito di entrare nel vivo della narrazione è destinato ai tre capitoli successivi, più strettamente connessi alle premesse che consentirono l’istituzione della galleria inesistente. l’autrice ha ritenuto importante soffermarsi sull’attività di vincent d’arista e bruno barbati, i due animatori ed ideatori del gruppo, con un focus sugli anni precedenti alla sua costituzione. la carta di fondazione, redatta a napoli nel 1969, fu sottoscritta dagli artisti gianni pisani, maria palliggiano, enrico ruotolo e giannetto bravi, oltre che dai sopracitati d’arista e barbati. successivamente, a partire dal 1971 il gruppo modifica la propria formazione con l’inclusione di maria roccasalva e gerardo di fiore e l’esclusione di altri, come ad esempio gianni pisani (1).


«la galleria inesistente si afferma, negandosi» [p.13], in questa frase luciana berti coglie perfettamente l’essenza del collettivo, al quale stefano taccone attribuisce una certa tradizione iconoclasta di derivazione dada e una destabilizzazione espressiva tipica di fluxus più che un vero e proprio interesse di carattere politico (2). le caratteristiche del gruppo sono così rintracciate innanzitutto nel già citato anonimato, al quale tutti i partecipanti dovevano aderire, in una insistente critica al nascente sistema dell’arte – impersonato dalla figura di lucio amelio – e una certa indefinitezza concettuale accompagnata da un disinteresse per una produzione documentaria degli eventi svolti. «preferivano affidare alle opere il compito di manifestare il proprio significato» [p.65], irrompendo letteralmente nella quotidianità napoletana, con le quali volente o nolente la cittadinanza doveva fare i conti, contribuendo in qualche modo al loro svolgimento.  in questo, l’attività della galleria inesistente si poneva in sintonia con l’ideale artistico di andré breton, il quale auspicava per dada un propagarsi nello spazio pubblico, allo scopo di creare situazioni dove poter sperimentare nuovi approcci spettatoriali, in piena continuità tra opera d’arte e vita (3). allo stesso modo, negli intenti del gruppo si possono ritrovare le riflessioni effettuate da duchamp sul processo creativo, il quale risulta incompleto senza l’interazione con il pubblico, e, senza andare troppo indietro nel tempo, si inseriscono nella nascente definizione di opera aperta che umberto eco teorizzava nel 1962. perfettamente in linea, quindi, con il rinnovato interesse delle neoavanguardie allo smantellamento di ogni barriera tra arte e vita, la galleria inesistente si inseriva in quel quadro internazionale individuato già nel 1969 da tommaso trini, che la inquadrava tra l’attività di allan kaprow e robert rauschenberg o quelle del new dada e del nouveau réalisme. in questo contesto, le parole di italo barbati, fratello di bruno, nell’intervista inclusa nel volume, ritraggono in modo puntuale il movente principale sotteso agli interventi del gruppo: «l’idea centrale della gi era quella di instaurare un nuovo rapporto tra artisti e pubblico e tra artisti e galleristi. tra pubblico e opera d’arte non doveva esserci più la mediazione del critico, figura superflua, né il gallerista. l’arte inoltre doveva intervenire direttamente nella realtà e nel contesto urbano, le azioni artistiche erano comunque azioni fuori, fuori dalle gallerie, nello spazio urbano ed esposte alla libera interpretazione del pubblico, dei passanti, che potevano e in un certo senso dovevano dare personali interpretazioni dell’azione senza alcuna mediazione del “critico”» [p.56].


in seguito ad un ritratto della scena artistica partenopea e ad un excursus tra le personalità del gruppo – affrontati in “attorno alla galleria inesistente. storie di napoli, tra gli anni sessanta e settanta” e “i componenti della galleria inesistente” – il nucleo centrale del volume è rappresentato dai due capitoli dedicati interamente alle azioni ironicamente provocatorie della galleria inesistente. da cercasi filosofo verace fino a qui dentro una mostra fuori la galleria inesistente viene circoscritta l’attività della prima formazione, dal 1969 al 1970, nella quale è compresa anche l’azione intitolata il risveglio del vesuvio, che provocò non poche reazioni di panico nella popolazione dei paesi vesuviani. un altro tratto che affiora nella scansione degli eventi realizzata da berti è la trasversalità di linguaggio ottenuta con una variazione continua del media adottati, la quale implica un certo grado di imprevedibilità nel risultato. spesso ai limiti dell’assurdo, le operazioni avevano un impatto sicuramente destabilizzante e, secondo alessandra pioselli, «ostentavano uno humor farsesco per scuotere gli animi dei napoletani dal torpore, più che per mettere il dito nella piaga di eventuali questioni sociali» (4). nonostante la galleria inesistente fosse immersa in un alone di indefinitezza politica e di inconsistente valore sociale, ciò non impedì alle forze dell’ordine di interpretare come aperta provocazione alle istituzioni le azioni quinto leone e hic sunt leones, entrambe del 1972 e afferenti all’ultima fase di attività del collettivo. filo di cotone verde del 1973, invece, può essere considerata l’azione finale del gruppo, di cui spariranno le tracce a partire da quel momento. ma, l’intuizione dell’autrice sta nel far proseguire idealmente la traccia lasciata dal collettivo con un ultimo capitolo dedicato alla successiva attività artistica di vincent d’arista per il quale «la galleria inesistente ha continuato a vivere, non tanto come gruppo ma come opera estesa» [p.92].


in appendice sono stati posti, infine, alcuni estratti dal testo inedito redatto da italo barbati, che rappresenta un primo tentativo di ricostruzione degli avvenimenti legati alla galleria inesistente, a partire da documenti e ricordi personali.

il resoconto, dall’impronta inevitabilmente corale, è arricchito dalle testimonianze raccolte nelle interviste svolte da berti e che intervallano ogni capitolo. così, tra le voci dirette dei protagonisti della galleria inesistente e della scena artistica del tempo – bruno di bello, nino longobardi, fabio donato, gianni pisani, maria roccasalva, gerardo di fiore, giulia piscitelli, antonio stefanelli – si uniscono quelle dei critici e galleristi – mario franco, angelo trimarco, anka ptaszkowka, achille bonito oliva, lucia trisorio, giuseppe morra – e la ricostruzione affidata ai familiari, come il già citato italo barbati e la famiglia d’arista. anche lo stesso vincent d’arista si fa partecipe del racconto collettivo, grazie all’intervista della figlia sicilia realizzata nel 2011, poco prima della sua scomparsa.

il carattere di ricerca sul campo, evinto dalla massiccia presenza di fonti dirette, non fa che avvalorare un discorso capace di fare chiarezza nelle intricate ed evanescenti vicende della galleria inesistente. l’enigma, come l’autrice stessa definisce il movimento, viene risolto con una puntuale cronaca dei fatti avvenuti all’interno e attorno ad esso. finalmente, a partire da tale ricognizione, un tassello della storia dell’avanguardia artistica napoletana trova il suo posto nelle infinite storie ancora da esplorare e portare alla luce.




1 frattura dovuta in parte proprio all’entrata nel gruppo dei due nuovi membri, infatti pisani stesso afferma: «per me la galleria inesistente era finita con l’azione caduta delle braccia [1970] e ritengo che tutto quello che è stato realizzato dopo non è stato fatto nel segno della continuità ma ha rappresentato una specie di duplicazione della nostra galleria inesistente: non era ripetibile con altre persone, non aveva senso replicare l’operazione. […] tra l’altro la carta di fondazione non prevedeva che, successivamente, potessero essere invitati altri artisti. siamo stati noi firmatari a far diventare “esistente” il progetto» [pp.76-77].

2 cfr. s. taccone, la contestazione dell’arte. la pratica artistica verso la vita in area campana, da giuseppe desiato agli esordi dell’arte nel sociale, iod edizioni, 2015, pp.99-100.

3 cfr. c. bishop, inferni artificiali. la politica della spettatorialità nell’arte partecipativa, trad.it., luca sossella editore, novara 2015, p.81.

4 a. pioselli, l’arte nello spazio urbano. l’esperienza italiana dal 1968 a oggi, johan & levi editore, lissone (mb) 2015, p.31.

numero 0,4
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