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catastrofi, fisicità virtuali e salti di stato dell’opera d’arte (2)

ermanno cristini


una “madeleine” senza profumo


è il braccio di mathilde de il rosso e il nero (1), “intravisto tra la manica del vestito e il guanto”, a proiettare julien sorel nello spessore della memoria che lo ancorava alla vita. intravedere è un vedere a singhiozzo, che, nelle interruzioni, apre lo spazio dello sguardo. quella che stendhal descrive è un’immagine di erotismo perché l’erotismo si nutre di una privazione, una mancanza eletta a motore del desiderio. la pornografia di contro è la pura visibilità: non c’è mancanza ma solo addizione. se l’erotismo è opacità in quanto luogo dell’inconosciuto la pornografia è trasparenza e reiterazione rassicurante del già noto. l’entertainment è pornografico.

byung chul han parla di pornografia a proposito della società della trasparenza, disegnata dai nuovi media. lo “scroll” è pornografico perché rende tutto a portata di mano e preclude la ricchezza della pausa opponendo l’additivo al selettivo.

i’m google di dina kelberman (2), è un lavoro costituito da un flusso di immagini realizzato sfruttando la funzione “image search” di google. i’m google mette in forma l’esperienza fruitiva della società della trasparenza di cui gli archivi di immagini come instagram sono una delle manifestazioni più significative. ad essi l’accesso avviene “in corsa”; ogni immagine si dispone ad essere rapidamente sostituita da quella successiva. la funzione “storia”, oggi molto popolare ne è l’espressione più autentica: le immagini restano per un breve tempo poi spariscono sostituite da altre. nell’”image search” di google il flusso è puramente additivo e determinato dall’algoritmo. ma anche in instagram il flusso è additivo ed è l’algoritmo a determinare cosa rendere visibile e cosa no e quindi a stabilire la concatenazione delle immagini generando un insieme in cui non è importante la relazione di senso ma piuttosto lo “scroll” in quanto tale.

se si pensa ad archivi analogici di cui tra i più celebri è mnemosyne di aby warburg sono evidenti le profonde differenze. mnemosyne “compone” le immagini stabilendo connessioni che irradiano su piani diversi a disegnare la soggettività di chi compone. tra le immagini si valorizza il “tra” in quanto motore. non a caso warburg parla di “iconologia dell’intervallo” (3);  è una mancanza il vuoto che separa un’immagine dall’altra, il luogo del senso. lì si posa il passo del cammino interpretativo che, indugiando, si fa narrazione. in instagram invece l’ipercinesi indotta dall’eccitazione temporale sopprime ogni mancanza impedendo la sosta meditativa. all’annullamento dell’interruzione corrisponde una perdita di significanza.

è sempre chan ad osservare: ”l’habitus digitale recita: ogni cosa dev’essere disponibile all’istante. (…) il mondo disponibile perde l’aura, proprio la fragranza. non consente nessun indugio. (…) il disponibile non profuma” (4)

nell’universo digitale la madeleine non ha profumo avendo perso lo spessore della memoria, quello spessore che si attiva solo in una prossimità garantita dalla distanza, come accade peraltro nel paradigma proustiano.


la crisi dell’aura tra big data e noisir


ma il paradigma proustiano appartiene all’età della storia, ovvero della conoscenza, instagram all’età dell’iperstoria,ovvero dell’informazione.

“sono loro, i big data, che pensano e amministrano coloro da cui hanno avuto origine. (…) l’informazione non tende soltanto a sostituirsi alla conoscenza, ma al pensiero in genere, sollevandolo dal peso di doversi continuamente elaborare e governare” (5) così roberto calasso in una lucida fotografia del presente. tale visione trova corrispondenza nel recente saggio di luciano floridi (6) dedicato al panorama sociotecnologico contemporaneo e alla sua filosofia. il lavoro di floridi esamina le caratteristiche di quella che egli definisce l’infosfera. l’infosfera è tale perché la capacità computazionale costituisce il motore della società eleggendo il processo dei dati a imprescindibile risorsa tecnologica. le conseguenze sono di ordine quantitativo, la misura dell’accumulo di informazione sfugge la dimensione umana; diventando poi, necessariamente, di ordine qualitativo, poiché la crescita esponenziale dei dati comporta una rapida obsolescenza delle tecnologie all’insegna della volatilità e della riscrittura continua. la memoria dell’infosfera è una “memoria che dimentica” proiettando il presente in una sorta di “amnesia digitale” o di storia vaporizzata dispersa nel cloud computing.

da questo punto di vista alla frammentazione, espressione della modernità, fa seguito la polverizzazione propria del contemporaneo. una condizione in cui, sul piano dell’arte, la crisi dell’aura, di benjaminiana memoria, si consuma in quello che potremmo definire un “noisir”, ovvero un connubio di noise e loisir dove affonda l’autorità dell’opera. il rischio, fuori da qualsiasi prospettiva di illusoria democratizzazione della cultura, è che con l’autorità affondi anche l’autorevolezza dell’opera e dunque la sua capacità di esercitare una presa critica sul presente, di farsi strumento di conoscenza in quanto forma formata e formante del proprio tempo.

in tale contesto sono forse ipotizzabili, come speranza per l’arte, più che la fuga, strategie di esplosione dell’algoritmo. atti di implementazione esponenziale dello scarto, del vuoto, tra “rumore” e “silenzio”. pratiche di generazione di dissonanze dove possano affiorare nuove forme del “braccio di mathilde”. può darsi allora un esserci dell’opera, un suo possibile, proprio nello spessore di una differenza, dove prendano corpo residui di alter-fisicità eletti a luogo di nuove significazioni e di nuovi statuti.

d’altra parte non diceva forse hölderlin che là dove c’è il pericolo sta anche la salvezza?



1 stendhal, il rosso e il nero, (1830), milano, garzanti, 1974

2 dina kelberman, i’m google, 2010

3 cfr: elio grazioli, la collezione come forma d’arte, monza, johan & levi, 2012

4 byung-chul han, la società senza dolore, (2020), torino, einaudi, 2021

5 roberto calasso, l’innominabile attuale, milano, adephi, 2017

6 luciano floridi, la quarta rivoluzione, (2014), milano, raffaello cortina editore, 2017